Ciao, Gian Paolo

In onore del nostro grande amico e Maestro Gian Paolo.

 

Gian Paolo Trivulzio, lo stenografo che prevedeva il futuro 

Paolo A. Paganini

 

In un generale appiattimento culturale, ingrigito e mortificato sotto la coltre d’un trionfante tecnologismo mediatico, mi sale un rasserenante sorriso di pace pensando alla bella persona di Gian Paolo. Ci conoscevamo da una cinquantina di anni, non tanto per confidenti consuetudini di vita amicale, ma per una condivisa passione per la parola nei suoi molteplici aspetti: parola scritta, parlata, mediata, stenografata, torturata, salvata, elaborata.

Ma l’amicizia ha strani percorsi.

Ci stimavamo, e ci spartivamo il piacere dei nostri incontri in una specie di liturgia linguistica, o grafica, o, meglio, stenografica, attraverso un fitto reticolo di codici e sottocodici. Lui cimano, io gabelsbergeriano. Ci bastava un cenno, con il dito indice che tracciava sulla carta o nell’aria parole eterne ed evanescenti, per sapere con esattezza che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda cerebrale, compagni che si ritrovano dopo aver fatto lo stesso percorso, ma su strade diverse.

E quindi, sulla panchina della vita, avevamo sempre un sacco di cose da raccontarci.

Eppure, nonostante la lunga conoscenza, radicata nella frequentazione, più o meno comune a entrambi, di antichi e indimenticati maestri, Cima, Rodriguez, Zucchermaglio, Aliprandi e quant’altri mai, Gian Paolo non finiva di stupirmi. Maledizione, era sempre un passo avanti. Mentre io rimanevo inchiodato in anchilosate nostalgie del passato, lui già svettava in sempre nuove curiosità culturali e tecnologiche. E ci sapeva talmente fare, che non potevi non seguirlo. Convegni, congressi, commissioni di studio, relazioni, lezioni, era sempre lì, protagonista appassionato e affascinante. Che si parlasse di scrittura manuale, di velocità oratorie, di ripresa del parlato, di sofisticati sistemi di registrazione, di organizzazione del lavoro, Gian Paolo era preparato ed entusiasta su tutto, fiutando anche le più recondite ed imprevedibili novità. Aveva perfino scoperto, via internet, le lezioni in lingua inglese di Walter Kistler, ingegnere e fondatore di un’azienda di elettronica, inventore d’un incredible numero di strumenti legati a una visione del futuro, compresi i voli spaziali, e creatore d’un sistema stenografico, il “Newrite”, che Gian Paolo volle conoscere ed approfondire.

Era incontenibile la sua ansia di conoscenza, non solo per le sofisticate tecnologie di un’epoca di sbalorditive invenzioni, ma anche di personali incontri con pensatori e ideatori di scritture veloci, come Tang Yawei, il padre della stenografia cinese (sia manuale sia stenotipica), che incontrò nel 2008, a Pechino.

In pubblico, poi, Gian Paolo aveva una foga fluida, trascinatrice, ma anche concitata, propria di chi possiede un magma interiore di pensieri e di idee che premono nella mente, ansiosi di venire alla luce e che in nessuna occasione si tratteneva di riversare con generosità. I suoi pubblici interventi son conosciuti da molti. Ma pochi conoscono le sue finezze morali e l’eleganza del tratto nel privato. Mai, in assoluto, gli udii parole d’invidia o giudizi malevoli. Era naturalmente propenso alla gentilezza e all’amabilità. Quando talvolta c’incontravamo a casa mia, non mancava di arrivare con un fiore per Patrizia, in una disponibilità di gioiosi e sereni conversari.

Tutt’altro atteggiamento, quando, in questo nostro strano mondo popolato di slanci animosi e di fascinosi graffiti, s’infervorava in appassionati interventi su argomenti tecnici o didattici, che poi, con indulgente pacatezza, finiva con lo stemperare in una calda bonomia. Anche perché Gian Paolo non aveva la supponenza dell’intellettuale o l’adorante culto per feticistici monumenti della Storia. Non dissacrante, ma disincantato, questo sì, con una genuina curiosità per il progresso tecnologico come naturale evoluzione dello spirito. Ne fanno fede i suoi molti interventi, depositati nei verbali di un’infinità di convegni o rimasti nella testimoniale memoria di chi li ha uditi dalla sua viva voce.

La sua avventura stenografica è stata precoce, subito rivelando quella che sarebbe poi stata, per tutta la vita, la sua “mens stenographica”.

Seguiamone il percorso, per sommi capi, con qualche annotazione cronologica  tra le più significative.

A 20 anni, nel 1957: “Campione Italiano Assoluto”, primo e unico classificato, ai Campionati Intersteno di Milano (in una falcidia di concorrenti), nella gara riservata agli stenografi pratici, con 120 parole al minuto. Allora, Lauro Cordara (1897-1969), giornalista professionista, teorico e pratico del sistema Gabelsberger-Noe, membro dell’Accademia Cimana, così lo elogiò sul Corriere Stenografico: «… Abbiamo visto i suoi stenoscritti: desinenze staccate dalla radice della parola sul tipo di “cavall…mente” per “cavallerescamente”. Solo così si ha la stoffa dello stenografo (…) svincolandosi dalla schiavitù del segno integrale(…) tutto proteso con la mente, non con la mano, a dissociare e riassociare, a demolire e a ricostruire…»

Nel settembre del 1959 Gian Paolo figurava a Spoleto nell’elenco dei congressisti dell’Ente Unitario della Stenografia Italiana.

L’anno dopo, nel ’60, ai Campionati italiani di stenografia, svoltisi a Roma, organizzati dall’E.U.S.I. sotto l’egida del Ministero della Pubblica Istruzione, si piazzava al quinto posto nella gara di velocità stenografica da 120 a 130 parola al minuto.

Nel 1963, partecipava attivamente al II Congresso nazionale dell’ Anisdec, svoltosi a Bologna, dove sostenne, in un lucido (e polemico) intervento, la necessità che i candidati all’abilitazione all’insegnamento della stenografia (e della dattilografia) acquisissero anche una dignitosa capacità velocistica, per poter formare a loro volta impiegati e operatori in grado di svolgere velocemente il loro lavoro.

Nel 1967, al IV Congresso dell’Anisdec, svoltosi a Parma, ebbe occasione di farsi notare con un vivace intervento, di “eretica” lungimiranza anticipatrice. Tra l’altro disse: “Ho l’impressione che la stenografia oggi si stia evolvendo verso forme nuove con una maggiore integrazione fra stenografia manuale e stenografia meccanica. Per cui oggi l’insegnante di stenografia deve avere anche una mentalità aperta verso le nuove forme di registrazione del pensiero…”

E nel 1979, al Congresso Ticinese di Studi Stenodattilografici e Tecnica d’ufficio, svoltosi a Bellinzona, Gian Paolo, con un’altra preveggente relazione sui mass-media, impressionò e sconcertò i congressisti, parlando della tastiera della macchina per scrivere: “… Verso la fine di questo secolo, sarà possibile avere in casa direttamente le notizie. Premendo su una tastiera simile a quella della macchina per scrivere, si potrà richiedere una serie di notizie sintetiche relative agli argomenti d’interesse personale, dallo sport alla contabilità dellemassaie…“.

Ed era il 1979, mica oggi!

Sempre un passo avanti, con la generosità di chi crede. Se ci credi, ce la fai, era il suo motto.

Non so, nel turbinio delle sue idee, se abbia messo anche in conto il rischio di sdrucciolevoli scivolate, che potevano turbare qualche anima bella e timorosa. Come talvolta avvenne. Ma è fatale. D’altra parte, assumendo, nel corso della sua attività di studioso e di professionista, ruoli sempre più rilevanti, come in seno all’Associazione Italiana Resocontisti Stenografi, o all’interno dell’Accademia Aliprandi, o in posizioni di preminenza nell’organizzazione dell’Intersteno, doveva per forza esporsi in delicate prese di posizione, nel rissoso (da sempre) mondo stenografico italiano, cercando di conciliare, da una parte, gli intrinseci e storici valori della gloriosa stenografia manuale, pur sempre valida e praticata (nonostante la cinica soppressione ministeriale), e, dall’altra, le sempre più imperiose affermazione della stenografia meccanica, della stenotipia computerizzata, del riconoscimento vocale, dei programmi di produzione automatica, dopo che l’avvento del computer aveva rivoluzionato il modo di lavorare.

Eppure, anche in questa congerie di argomenti (campo minato, anche per la presenza di interessi industriali non indifferenti, e a scapito della sempre più obsoleta onesta matitina), ebbe il coraggio delle idee, guardando avanti, in una incontenibile curiosità verso i prodigi delle macchine, senza dimenticare il dovuto rispetto da dove era partito: l’umile matita e il fidato blocco, che Gian Paolo continuava a usare con abilità…

“Chiedo perdono“, dichiarò ironicamente, all’inizio del millennio, il 18 febbraio 2001 a Firenze, in una relazione all’Accademia Aliprandi, “chiedo perdono a tutti coloro che ho afflitto con i miei sogni. Mi propongo di non turbare più il sonno dei benpensanti…” E continuò a turbarli subito dopo, con la relazione sull’utilizzo d’una macchina per la traduzione automatica, che ebbe modo di sperimentare. “Ritengo che sia uno strumento molto utile per chi, come noi, membri dell’Accademia della multimedialità della scrittura e cultori delle scritture veloci, deve essere sempre aggiornato e possibilmente anticipatore nell’utilizzo di nuovi strumenti…”.

Da allora, fino al suo ultimo respiro, affinò sempre più il suo impegno di vita in un ideale di pace, di eclettismo e di progresso. Il suo fu un impegno dominato da un’idea fissa: andare avanti, mirare in alto, sperimentare. Soprattutto nel rispetto delle differenze, delle diversità, delle contrapposizioni. In una specie di Mercato Comune delle Idee. Pur sempre stenografiche, ovviamente. In qualunque forma esse fossero espresse.

 

Video da parte di Marta Riccò

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Ricordo di Maria Luisa Corti Crippa
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Ricordo di Paolo A. Paganini
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Testimonianze e ricordi
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